La materia trattata in questo saggio potrebbe ispirare mille romanzi, tanto la storia delle case da gioco italiane è ricca di personaggi che pescano nel torbido e “capitalisti di ventura” con amicizie potenti.
Nel 1884, grazie al fatto che il prefetto aveva “chiuso un occhio”, nacque
Villa Sultana: il primo casinò dell’Italia unita. Questa casa da gioco, non a
caso, era situata tra le province di Sanremo e di Bordighera: in quel periodo
l’impulso alla creazione di tali case venne visto come un’abile mossa di marketing turistico
per contrastare la concorrenza della Costa Azzurra,dove
si giocava in svariate sale legali. Ingenuità o sete di denaro spinsero
addirittura Luigi Pelloux a chiedere al prefetto di Porto Maurizio, il barone
Vittorio Menzingher, di essere negligente nei confronti degli impresari che volevano dedicarsi
alla costruzione di nuovi poli del gioco d’azzardo. La legislazione in merito alle
case da gioco italiane è piuttosto lacunosa, lo è sempre stata; storicamente
retate efferate si sono susseguite a laissez- faire dalla creazione di Villa Sultana ai giorni nostri, tanto che la lobby
degli imprenditori dell’azzardo non ha mai smesso di spingere affinché alcune
aree fossero eccettuate dal divieto. In questo tira e molla si
susseguirono periodi di successo degli imprenditori dell’azzardo a periodi di
repressione del gioco. Durante la prima guerra mondiale si legalizzò il casinò
di Campione; quello di Merano, invece, fu attivo tra il 39 e il 40 e poi ancora
tra il 45 e il 46. L’idea dei governanti italiani
era quella di usare questi posti come collettori di rivelazioni utili a scopo
militare, dopotutto la storia di Mata Hari rivelava l’estrema
utilità delle spie camuffate da frequentatrici di tavoli verdi.
Mussolini fece più che un pensiero all'appianare i propri debiti (contratti per l’ingresso trionfale in politica) con i proventi delle licenze per l’azzardo. Fu proprio Giacomo Matteotti a portar avanti il proposito di un’inchiesta sulle concessioni autostradali, petrolifere e legate al gioco d’azzardo che macchiavano di corruzione i fascisti: sostiene l’autore che forse sarebbe stato il caso di approfondire la materia dell’indagine del parlamentare assassinato nel 1924, invece di dipingerlo semplicemente come un martire del fascismo.
Di fatto dal 1926 e fino ai giorni nostri l’eccezione alla regola all'illegalità del gioco d’azzardo si è vissuta solo in quattro casinò “di frontiera”, indagati approfonditamente dall'autore: Sanremo col suo Kursaal; Campione d’Italia (in territorio svizzero, ma gestito da italiani) ; Saint Vincent col Casinò De la Vallée in Val d’Aosta e il casinò di Venezia, ahimè macchiato dalle vicende del prestito a tasso di usura che valse milioni di lire alla mafia del Brenta col famoso colpo del 1981.
Chiaramente Mandelli non si limita alla descrizione dell’emersione di case legali, ma si occupa anche della succosa storia delle case da gioco illegali che costellavano tutta la penisola, ma che, soprattutto negli anni Sessanta, avevano i propri massimi esponenti nei “circoli” di Milano e Taormina. A queste case si collegava spesso e volentieri la criminalità organizzata di ogni risma e le simpatiche “joint venture” liguri degli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, ormai un triste ricordo di fronte alla violenza e a gli interessi crescenti di boss senza scrupoli.
Ma al di là della massoneria italiana, Mussolini, Matteotti, Maometto VI, Lucky Luciano, Buscetta, Adonis e gli altri “vip”, Mandelli snocciola nomi e storie di impresari sconosciuti ai più, fornisce dati e organigrammi delle società, piccoli aneddoti di vittorie e sconfitte nell’ambito di un settore che ha proliferato sempre in un’area grigia tra legalità e illegalità le cui storie, spesso davvero intriganti, sono strettamente connesse alle vicende cronachistiche ed economiche del nostro Paese. Tutto vero, compresi i metodi con cui si barava. Tutto certosinamente ritrovato negli articoli di giornale delle varie epoche e nelle carte delle questure, e reso in una prosa vorticosa, ricca di storie e personaggi.
Mussolini fece più che un pensiero all'appianare i propri debiti (contratti per l’ingresso trionfale in politica) con i proventi delle licenze per l’azzardo. Fu proprio Giacomo Matteotti a portar avanti il proposito di un’inchiesta sulle concessioni autostradali, petrolifere e legate al gioco d’azzardo che macchiavano di corruzione i fascisti: sostiene l’autore che forse sarebbe stato il caso di approfondire la materia dell’indagine del parlamentare assassinato nel 1924, invece di dipingerlo semplicemente come un martire del fascismo.
Di fatto dal 1926 e fino ai giorni nostri l’eccezione alla regola all'illegalità del gioco d’azzardo si è vissuta solo in quattro casinò “di frontiera”, indagati approfonditamente dall'autore: Sanremo col suo Kursaal; Campione d’Italia (in territorio svizzero, ma gestito da italiani) ; Saint Vincent col Casinò De la Vallée in Val d’Aosta e il casinò di Venezia, ahimè macchiato dalle vicende del prestito a tasso di usura che valse milioni di lire alla mafia del Brenta col famoso colpo del 1981.
Chiaramente Mandelli non si limita alla descrizione dell’emersione di case legali, ma si occupa anche della succosa storia delle case da gioco illegali che costellavano tutta la penisola, ma che, soprattutto negli anni Sessanta, avevano i propri massimi esponenti nei “circoli” di Milano e Taormina. A queste case si collegava spesso e volentieri la criminalità organizzata di ogni risma e le simpatiche “joint venture” liguri degli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, ormai un triste ricordo di fronte alla violenza e a gli interessi crescenti di boss senza scrupoli.
Ma al di là della massoneria italiana, Mussolini, Matteotti, Maometto VI, Lucky Luciano, Buscetta, Adonis e gli altri “vip”, Mandelli snocciola nomi e storie di impresari sconosciuti ai più, fornisce dati e organigrammi delle società, piccoli aneddoti di vittorie e sconfitte nell’ambito di un settore che ha proliferato sempre in un’area grigia tra legalità e illegalità le cui storie, spesso davvero intriganti, sono strettamente connesse alle vicende cronachistiche ed economiche del nostro Paese. Tutto vero, compresi i metodi con cui si barava. Tutto certosinamente ritrovato negli articoli di giornale delle varie epoche e nelle carte delle questure, e reso in una prosa vorticosa, ricca di storie e personaggi.
La storia sociale definitiva delle case da gioco nostrane
che mancava, ora c’è.