Mercoledì
sera- ore 20.30- cinema imperia- per la festa della donna il coordinamento
donne organizza la proiezione di "we want sex"- biglietto 5 euro
Sia chiaro.
Il titolo del film non
ha sostanzialmente niente a che vedere con il suo contenuto. È un pezzo di uno
degli slogan che le 187 operaie della Ford diDagenham scrissero su uno
dei tanti striscioni utilizzati durante il loro storico sciopero del maggio
1968: We want sex equality.
Questo infatti è l'argomento del film diNigel Cole (già noto
per L'erba
di Grace eCalendar girls),
che si potrebbe definire come la versione leggera e ottimista - da commedia -
di un Ken Loach d'annata.
Siamo infatti in un grande stabilimento della Ford della provincia inglese dell'Essex,
dove le operaie che si occupano di cucire e rifinire i sedili in pelle della
automobili chiedono che sia loro riconosciuta una specializzazione e iniziano
così uno sciopero che diventerà il primo atto della richiesta di un trattamento
economico paritario con gli uomini. Grazie alla loro battaglia il principio
dell'equo compenso per uomini e donne entrerà nella legislazione britannica nel
1970 e poi in gran parte dei paesi occidentali.
Il tutto raccontato con la passione civile e la verve umoristica di cui solo
gli inglesi sono capaci.
Nel film il motore della storia è Rita O'Grady (Sally Hawkins), che
diventa leader unitaria di questo manipolo di donne, costringendo la Ford a interrompere la
produzione, attirando l'attenzione dei media e, infine, arrivando ad un
colloquio ufficiale con il Ministro del Lavoro britannico, in quel momento una
donna altrettanto volitiva e risoluta, Barbara
Castle(Miranda
Richardson).
Con mirabile leggerezza, il film tocca, dunque, problemi importanti e, per gran
parte, molto attuali: il preponderante potere maschile nel mondo del lavoro, in
particolare nelle posizioni di vertice; la tendenziale retroguardia dei
sindacati e la loro linea fortemente politicizzata; le tante contraddizioni del
capitalismo occidentale e i suoi intrinseci motivi di debolezza; la forza delle
idee e l'importanza di persone che scelgano di spendersi per esse.
l risultato finale è gradevole, sebbene a tratti convenzionale e prevedibile. Ma certo è salutare quel po' di nostalgia che il film suscita per un'epoca in cui la battaglia per i diritti era sufficientemente ingenua da diventare realmente collettiva, in cui esisteva una classe genuinamente operaia, in cui il disincanto non aveva preso del tutto il sopravvento, in cui le donne sapevano essere solidali.
Insomma, il tutto è forse un po' edulcorato e romanzato, ma colpisce nel segno. Oggi, più ancora di ieri, abbiamo bisogno di credere nella possibilità di un cambiamento, di pensare che esiste ancora una parte buona della società, che l'individualismo e lo snobismo non hanno completamente inaridito qualunque idealità, che la rivoluzione dal basso non appartiene solo ai secoli passati.
Va detto che il mondo di oggi, globalizzato e scontento, è molto più complesso, dal momento che i nostri destini sono più intrecciati di un tempo e l'azione locale è, insieme, più debole e più potente. La nuova frontiera di un capitalismo aggressivo e sempre più consumistico, ma che aspira ad un'alleanza con governi senza opposizioni interne e si fa forte del lavoro di classi operaie senza diritti (come avviene in Cina), fa paura, tanto più in
una fase di crisi economica e di assenza di passioni civili da parte di gruppi
e singoli che sempre più si ritirano in buon ordine a vita privata.
Un film che scuote le coscienze, facendo sorridere, non può che far bene.