È legittimo
parlare di «età berlusconiana» allo stesso modo in cui si parla di «età
crispina» o di «età giolittiana»? E quando comincia questa età?Quali ne sono i
precedenti, lo svolgimento, i connotati fondamentali? Quali il bilancio e il
possibile epilogo?
A queste domande tenta di dare risposta il saggio di Antonio
Gibelli." Berlusconi passato alla storia" Lo fa adoperando il linguaggio – ricco di dettagli ma orientato alla
sintesi, valutativo ma non animoso, denso di elementi di analisi ma attento
alla narrazione – che si dovrebbe adoperare in una lezione di storia: il cui
scopo è far capire in cosa un protagonista e un momento sono simili ad altri, e
in cosa invece sono diversi. Nel sapere storico, porre bene gli interrogativi
significa aver fatto un passo avanti decisivo nella comprensione del passato,
anche quando si tratta di un passato che si inoltra nel presente e si dipana di
fronte a noi. Uno dei nostri storici contemporanei più autorevoli si cimenta
qui con un’impresa solo apparentemente semplice.
Egli immagina di dover raccontare
ai suoi studenti, in un breve corso sulla storia d’Italia dall’Unità a oggi,
gli ultimi quindici anni. Un buon professore di storia si incaricherà di «dare
un nome» a questo ultimo quindicennio, di chiarirne l’origine, di fare un
ritratto dei protagonisti principali, e infine di fornire un insieme di ragioni
plausibili per spiegare il successo dei vincitori e la sconfitta dei perdenti.
Il quadro che ne scaturisce legittima l’idea che Silvio Berlusconi possa
ragionevolmente pretendere di «intestarsi un’epoca».
Dando prova di qualità non
comuni (a cominciare dalla tenacia), in contrasto con l’apparente modestia
della sua figura, il leader lombardo ha portato al potere la destra proprio nel
momento in cui essa sembrava più debole, scompaginata e priva di riferimenti.
Espressione di tendenze profonde della società italiana ma presenti nell’intero
mondo occidentale al tempo della mondializzazione, ha tentato di plasmare lo
Stato a sua immagine e a misura dei suoi interessi personali. Così facendo, è
certamente riuscito a essere il capo vincente e indiscusso di una fazione; non
altrettanto il leader capace di governare il paese. E nel suo insieme, l’Italia
berlusconiana, proiettata ormai interamente fuori della sua storia postbellica,
appare teatro di un esperimento molto spinto di democrazia autoritaria, che
logora gli equilibri istituzionali della compagine nazionale, minaccia i suoi
fondamenti costituzionali e rischia di mettere in discussione le sue tradizioni
civili.
Antonio Gibelli insegna Storia contemporanea all’Università di Genova ed è
membro del comitato scientifico dell’ Historial de la Grande Guerre di
Péronne (Somme). Ha dedicato numerosi volumi alla storia della Grande Guerra,
tra i quali La Grande
Guerra degli italiani (1998; seconda edizione Bur, 2007,
Premio Acqui Storia) e L’officina della guerra. La Grande Guerra e le
trasformazioni del mondo mentale (1991; terza edizione Bollati Boringhieri,
2007). Ha inoltre scritto Il popolo bambino. Infanzia e nazione dalla Grande
Guerra a Salò (Einaudi, 2005) e curato l’edizione italiana in due volumi
dell’Encyclopédie de la
Grande Guerre (Einaudi, 2007).